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LA CITTA’ VECCHIA

  • Music-Fi
  • 24 ago 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 2 nov 2020

TRA MUSICA E POESIA


Città vecchia – Fabrizio De Andrè


Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi Una bimba canta la canzone antica della donnaccia quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui fra le mie braccia

E se alla sua età le difetterà la competenza presto affinerà le capacità con l'esperienza Dove sono andati i tempi d'una volta per Giunone, quando ci voleva per fare il mestiere anche un po' di vocazione

Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino Li troverai là col tempo che fa estate e inverno a stracannare, a stramaledir le donne, il tempo ed il governo Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere per dimenticare d'esser stati presi per il sedere Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte porteran sul viso l'ombra di un sorriso fra le braccia della morte

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone forse quella che sola ti può dare una lezione Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie

Tu la cercherai, tu la invocherai più d'una notte ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette quando incasserai, delapiderai mezza pensione diecimila lire per sentirti dire: "micio, bello e bamboccione".

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli in quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano quello che ha venduto tremila lire sua madre a un nano

Se tu penserai e giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo se non sono gigli, son pur sempre figli vittime di questo mondo.


Presentando “La città vecchia”, De André disse: «è una canzone del 1962, dove precisavo già il mio pensiero e esso non è cambiato, perché un artista, a qualsiasi arte si dedichi, ha poche idee, ma fisse. Io credo che gli uomini agiscano certe volte indipindipendentemente dalla loro volontà. Certi atteggiamenti, certi comportamenti sono imperscrutabili. Certe volte, insomma, ci sono dei comportamenti anomali che non si riescono a spiegare e quindi io ho sempre pensato che ci sia ben poco merito nella virtù e poca colpa nell'errore, anche perché non ho mai capito bene che cosa sia la virtù e cosa sia l'errore». Tale conclusione sostiene e giustifica le commosse parole finali di questa canzone. Si tratta qui di una serie di "quadri" di vita di un quartiere genovese del centro storico, attraverso i quali, ancora una volta, De André rappresenta il mondo degli emarginati, a lui così cari ed invece così spesso dimenticati, persino dal buon Dio. Prostitute e pensionati sono descritti con evidente simpatia, perché raffigurano la schiettezza contro l'ipocrisia del vecchio professore dall'ambiguo comportamento. Le ultime due strofe delineano con maggiori particolari la zona dell'angiporto e i personaggi che lo abitano: ladri, assassini, approfittatori senza scrupoli. Ed è proprio qui che De André chiede di non giudicare con il metro della legalità e della mentalità borghese, bensì di provare per quei poveri esseri un forte senso di pietà, poiché essi non sono null'altro che vittime della società e della storia. Passiamo adesso a presentare ed analizzare l’omonima poesia di Umberto Saba, sottolineando infine le differenze fra i testi.


Città vecchia - Saba

Spesso, per ritornare alla mia casa prendo un'oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada. Qui tra la gente che viene che va dall'osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l'infinito nell'umiltà. Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d'amore, sono tutte creature della vita e del dolore: s'agita in esse, come in me, il Signore. Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via.


La città vecchia è quella parte di Trieste «più antica e più incontestabilmente italiana» (citazione dello stesso Saba), e anche più umile e malfamata, fatta degli stessi vicoli che costituiscono il centro storico di Genova.

Attraversando il quartiere più antico e malfamato di Trieste, Saba incontra personaggi popolari, che conducono una vita assai diversa da quella borghese, una vita più libera e istintiva. In loro è continuo il manifestarsi degli impulsi autentici dell’uomo, di eco freudiana, non ancora del tutto nascosti dalla civiltà. Tali impulsi rappresentano per Saba la vera condizione profonda di tutti gli esseri umani. Questa poesia, tratta dal Canzoniere, dimostra quel bisogno, innato in lui, di fondere la sua vita a quelle delle creature più umili e oscure. Gli esseri più umili per Saba sono quelli più vicini ai valori autentici e profondi dell’esistenza perché la vitalità che in essi si manifesta più apertamente è un valore positivo, rappresentando la libido o il principio di piacere, che la civiltà tende a ostacolare e reprimere.

La scelta di una materia “bassa” coincide con la volontà di esprimere onestamente la verità che sta al fondo delle cose. Saba contrappone la propria poesia bassa e fedele ai valori elementari dell’esistenza, a quella di concezione più aristocratica e sublime, quale è stata quella di D’Annunzio.E perciò il pensiero si fa più puro laddove la via è più turpe, quando la vita si fa più dura emerge al meglio l’istintiva naturalezza della vita. L'analogia del testo di De André con questa celebre poesia di Saba è evidente non solo nel titolo, e in ciò che si vuole trasmettere, ma anche in singole immagini: la "bimba che canta la canzone antica / della donnaccia" richiama la "prostituta"; i "quattro pensionati mezzo avvelenati / al tavolino" fondono le due immagini dell'"osteria" e del "vecchio / che bestemmia". Tuttavia vi è anche una differenza ideologica sostanziale fra i due autori: mentre per Saba "il Signore" riscatta con la sua presenza i reietti della sua città, il "buon Dio" di De André "non dà i suoi raggi" ai poveri quartieri genovesi. Più forzato, inoltre, sembra l'atteggiamento di Saba, che vede il suo pensiero "farsi / più puro dove più turpe è la via", di fronte a quello di De André, che si limita a definire meno enfaticamente "vittime" gli umili abbandonati non solo da Dio, ma anche dalla società.


-DEREK




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